Cos’è l’invidia oggi? Fastidio per il merito e la competenza

fonte www.corriere.it

di Beppe Severgnini

SE VOGLIAMO CERCARE un punto di partenza, nella storia universale dell’invidia, dobbiamo tornare a Caino e Abele. Se volete trovare un punto d’arrivo, ricordate quello che vi è accaduto ieri (in spiaggia, per strada, al bar, in ufficio). Qualcuno non sopportava il vostro vestito, il vostro sorriso, il vostro slancio, il vostro successo. E ve l’ha fatto capire. Non avremmo dedicato la copertina a un sentimento privato, però. L’abbiamo fatto perché l’invidia sta calando, come una nebbia fastidiosa, sulla nostra società: condiziona la vita pubblica, le relazioni di lavoro, i rapporti personali. Lo racconta Nicola Gardini (pagine 16-24). Uno studioso del mondo classico racconta come l’invidia sia sempre esistita, e abbia ispirato capolavori, nell’arte e in letteratura. Ma oggi sia diventata endemica, odiosa e pericolosa.
L’INVIDIA CONTEMPORANEA, scrive Gardini, è un tentativo di “declassamento universale”. Non il desiderio di innalzarci, bensì la speranza che gli altri precipitino. La nuova invidia è irritazione per il successo altrui, fastidio per la competenza, disprezzo per il merito e l’esperienza. L’apologia delle “persone normali” e gli attacchi alle cosiddette “élites”, presenti in tanti discorsi, non sono prove d’amore per la democrazia. Nascondono, invece, il tentativo di trascinare tutto e tutti verso il basso. Una forma di invidia collettiva, se ci pensate.

SIA CHIARO. Non è invidia quella che spinge molti a dirsi nauseati davanti a certi compensi e ad alcune buonuscite (vero, Flavio Cattaneo?). Non è invidia quella che denuncia la disparità tra chi ha troppo e chi ha troppo poco (la rivoluzione digitale ha accelerato questo processo). Non è invidia la frustrazione della classe media, che vede crollare i propri redditi e il proprio modello di vita. «È venuta a mancare la convinzione nel fatto che siamo tutti nella stessa barca, incluse le élites», scrive Edward Luce in The Retreat of Western Liberalism (La ritirata del liberalismo occidentale, non ancora tradotto in Italia). Ma la storia ci insegna a stare in guardia, quando le diseguaglianze diventano sfacciate. «I perdenti cercano capri espiatori», ammonisce l’autore.

DETTO QUESTO – e va detto con forza, se non vogliamo buttare otto secoli di illusioni (Magna Carta, 1215) – ripetiamolo: l’aspirazione a una società migliore passa per l’emulazione, non per l’invidia. Il merito, la competenza e il successo vanno ammirati e premiati; non derisi e offesi. L’invidia è uno dei sette vizi capitali; non sta alla base di alcuna dottrina politica. «La tristezza per il bene altrui percepito come male proprio» è una sciagura sociale. Ma guadagna terreno, e ci è sembrato giusto parlarne.

PRIMA DI CHIUDERE, una precisazione. L’occhiata di Sophia Loren alla scollatura abissale di Jayne Mansfield, nella foto in copertina, ha sessant’anni. La foto venne scattata nel 1957, durante la cena di benvenuto a Hollywood. Come spiega la nostra Chiara Mariani (pagina 3), l’espressione della bella attrice italiana appare, soprattutto, sbalordita. È innegabile, tuttavia: l’immagine ha finito per rappresentare la rivalità e – in qualche modo – l’invidia. Ma possiamo dirlo? A distanza di tempo, quella della giovane Sophia sembra un’invidia umana, spontanea, quasi ingenua. Non so voi. Ma noi di 7, preparando questo numero, ne avevamo nostalgia.